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Scrivi un commento al testo di Pietro Menditto
Alighieri 3192

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Sertaca, 98/179/3192

  

   Carissimo amico,

   riscontro con un poco di ritardo

   per motivi dipendenti

   dalla mia nolontà

   la tua del 13.29.3192

   con un ineffabile piacere.

   Come vanno le cose?

   Alla grande!

   La grigia eminenza del noùmeno

   le consiglia né più né meno che

   come una donna pilastrodellacasa;

   il mio spirito guida

   non ha mai preso la patente e

   l’angelo custode non guarisce

   dalla malattia del sonno.

 

   La poesia? Beh, quella, se possibile,

   va peggio ancora.

   Forse non è più tempo

   perché ogni volta che li rileggo

   i miei versi, sono proprio questo:

   un bollettino del tempo.

   Vento, cielo, sole, luna, pioggia,

   caldo, freddo, una assurda sincrasia

   per la meteorologia.

 

   Per il resto, che dirti? L’amore?

   Come sempre va e viene: sceglie

   le sue vittime come meglio gli conviene.

  

   Di solito mi lascia in pace, a volte

   bussa tardi ma io non ci bado:

   vuole raccontarmi dei vicini,

   di come sognano un incesto

   di primo o di secondo grado.

 

   Ricordi i vecchi tempi?

   Una bevuta, un brivido e le parole

   si spogliavano di tutti i loro sensi

   perché noi le colmassimo del nostro,

   racimoli della pietra caduta

   dalla bisaccia del Soffiatore,

   ma era oro che chiamava a corte

   Beatrici e Laure, e pure donne vere

   al di là del principio del sapere

   e di quello della scuola normale,

   salvato dalla mondiglia filosofale.

 

   Oh, a proposito.

   Ho incontrato l’Alighieri

   proprio l’altrieri,

   ma non ricordo dove.

   Portava al guinzaglio

   le cifre dallo 0 al 9

   e così mi apostrofò:

 

   O tu che ancora in questa pena vivi

   col sembiante di un che non dà conto

   forse perché la fola di che scrivi            3

 

   t’illude che diman sarìa racconto.

   Se un poco ti fe’ alunno mia statura

   dinne a le genti come son pentito            6

 

   d’ognuno avere preso la misura

   per poi straziarlo male in infinito.

   Di tutte cose l’omo è una mistura            9

 

   e grande fallo fu salir lo soglio

   per essere dottor tra saia e lana

   arte che fu la mia e più non voglio.        12

 

   Se pura fosse l’acqua che in Toscana

   passa per Fiorenza e ha nome d’Arno

   in essa me risciacquerei superbo            15

 

   per scrivere parol, non Verbo indarno.  16

 

   Poi continuò in suo latino

   riconoscendo il suo errore:

   non è detto che ad una lingua

   debba necessariamente

   corrispondere una nazione.

   La lingua può esaltare e così ti frega.

   Lo dicono i picciotti di Trinacria,

   lo confermano ronde in vera Lega.

 

   Adesso devo lasciarti.

   Perché vedi: sei tu che tuo

   malgrado ascolti e vedi

   e ciò che non vedi senti,

   a molti inesplicati

   ti fai muto, ad altri mostri

   intartariti i denti.

 

   Tale è il quadro che si mostra

   e non si mostra

   la conclusione che devi trarre

   di necessità dura.

   La totalità è fatta di contrasto

   che in sé s’incastra;

   unico il riso per chi

   s’immutria in sua rancura.

 

   Scrivi quando vuoi.

 

   Qui mi sento molto solo.

 

   Circola carta straccia

   invece della poesia.

 

   C’è un nuovo Nobel:

   quello per l’eutanasia.

 

 nandobattaglia - 20/01/2013 16:41:00 [ leggi altri commenti di nandobattaglia » ]

Graznde Pietro! Un Maestro, per materia e parola.

 Carla de Falco - 20/01/2013 11:57:00 [ leggi altri commenti di Carla de Falco » ]

straordinaria prova.
ironia tagliente, mimesi linguistica, denuncia.
una poesia per lettori consapevoli. allergici alla carta straccia.
complimenti.

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